Il lavoro cambia pelle: due HR, due mondi, una sola cultura
- Redazione

- 9 set
- Tempo di lettura: 3 min
Ci siamo interrogati molto sul ruolo dell’HR, un po’ perché siamo un’azienda che eroga servizi per questo settore e un po’ perché crediamo che la cultura si costruisca partendo da casa: da come viviamo ogni giorno le relazioni, le scelte, i conflitti, le ripartenze.
Per questo, dentro il gruppo ZCS People, abbiamo cercato due portavoce capaci di abitare il mondo HR con sostanza e verità: Ernesto Riboni (HR Manager, HRZ) e Patrizia Mastromarino (HR Manager, Terasoft). Con loro abbiamo provato a togliere l’etichetta “risorsa” e a lasciare “umana”, per vedere cosa cambia davvero quando la funzione smette di essere un reparto e diventa pratica quotidiana di cura.
La storia di Ernesto è un filo invisibile lungo ventisette anni: venti passati in ambito tecnico, e tuttavia, rileggerla oggi, racconta sempre la stessa intenzione, mettere le proprie capacità al servizio del “far stare bene” l’azienda e quindi ogni singolo collega.
In Zucchetti, dopo la formazione, diventa punto di riferimento per le demo ai clienti e poi formatore dei partner sull’HCM, in HRZ guida la nascita del gruppo HCM, coordina l’area tecnica e, da quasi due anni, assume il ruolo di HR Manager.
La sua parola-chiave è servire: dedicare tempo, energie e talenti al compito che si è chiamati a svolgere, qualunque esso sia.
“C’è più gratificazione nel dare che nel ricevere”, ripete, perfino un mondo tecnologico ha un’anima, se il nostro coinvolgimento lo rende vivo.
Da qui, la sua idea chiara sul presunto “centro di costo”, il costo non esiste in assoluto, esiste in relazione al valore che genera.
L’HR entra in ufficio come costo e deve uscire la sera lasciando tracce di profitto organizzativo: meno frizioni, più chiarezza, migliori decisioni.
Nel concreto questo significa facilitare la comunicazione tra uffici, costruire processi chiari ed equi senza smarrire la meritocrazia, alzare l’asticella ai giovani perché crescano in professionalità, attivare la staffetta della conoscenza in cui i senior donano saperi e metodi ai junior per una crescita armonica.
Ernesto rivendica anche il diritto ai maestri: Pier, che gli ha insegnato l’empatia operativa, capire chi hai davanti e su quali dettagli costruire fiducia, Achille, che lo ha allenato all’efficacia della comunicazione mettendo al centro i concetti, Simone, con cui ha imparato che l’azienda può essere casa, un luogo che ascolta e valorizza i punti di forza nel momento giusto della vita.
“Non dobbiamo mai avere paura di riconoscere il valore dell’altro”, dice: non ci sminuisce, ci moltiplica.
Patrizia, dal canto suo, porta in dote la verità emotiva: “Bisogna essere come il Piccolo Principe: ci si prende cura della rosa non perché si deve, ma perché si vuole”.
Per lei l’HR nasce da lì, da un ascolto che tiene acceso un radar emotivo costante. Nei colloqui chiede spesso “Quale superpotere vorresti acquisire?”, è un modo per incontrare la persona prima del profilo.
E se lo chiede anche a sé: il superpotere dell’HR è imparare ad ascoltare l’invisibile, ricostruire la storia che vive tra righe, silenzi, intonazioni, contraddizioni feconde.
Perché è nel momento in cui qualcuno si sente riconosciuto e visto che comincia davvero la cultura aziendale.
Tra le traiettorie di Ernesto e Patrizia si disegna una mappa comune: il servizio come metodo (competenze e tempo al servizio di scopi condivisi), i gesti minimi ripetuti bene (salutare per nome, spiegare il perché, assumersi la responsabilità di un errore, ringraziare con specificità), l’ascolto che include l’invisibile (numeri e KPI insieme ai segnali deboli che anticipano le scelte), la conoscenza che scorre (junior che osano, senior che donano), il passaggio dal costo al valore (relazioni più sane, decisioni più veloci, apprendimento più diffuso).
Il lavoro cambia pelle quando l’HR smette di presidiare solo processi e inizia a generare legami che tengono insieme risultati e dignità.
È da casa che si parte e a casa che si torna: i corridoi dove ci si chiama per nome, le sale riunioni che diventano laboratori, i piani strategici che si misurano sulla vita vera delle persone.
Noi abbiamo solo messo accanto due mondi e li abbiamo ascoltati, il resto è cultura che si fa, giorno dopo giorno, togliendo etichette e restituendo senso alle parole.
Buon ascolto.




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