Al di là dell'Arno
- Redazione

- 27 nov
- Tempo di lettura: 3 min
Identità, bellezza, comunità: dal villaggio ideale di Crespi d’Adda alla visione contemporanea di ZCS People
“Avete eretto un intero villaggio… ma non è questa la cosa più importante: avete dato dignità, fiducia e appartenenza.” “Quando si entra in una stanza, bisognerebbe lasciare una porta socchiusa: perché la possibilità, il dubbio e la bellezza entrino a scompigliare l’aria.”
Nel 1877 Benigno Crespi non costruì soltanto case, una fabbrica e una chiesa, costruì un’ipotesi di futuro. Intuì che l’industria non è un motore cieco, ma un organismo sociale, e decise che al centro non dovessero esserci soltanto telai e ciminiere, bensì persone con desideri, biografie, fragilità. Il disegno urbano, fregi a stelle, rosoni in cotto, prospetti gentili, fu metodo, un paesaggio che dispone al lavoro ben fatto perché rende il lavoro degno di essere vissuto. È la bellezza come infrastruttura civile, quella che, per dirla con Peppino Impastato, “cura i mali” sedimentando senso, misura, relazione.
Questa è la chiave che Alessandra Selmi, in Al di qua del fiume, riporta alla luce, un capitalismo capace di comunità. Riconoscere che la produttività è un effetto collaterale del benessere, e che l’efficienza più stabile nasce dall’appartenenza. Lì dove si investe in scuole, servizi, spazi pubblici, si riduce la distanza tra il “chi siamo” e il “cosa facciamo”. Il lavoro smette di consumare identità e comincia a produrla.
Questa traiettoria risuona oggi, “al di là dell’Arno”, nella filosofia di ZCS People, partire dall’individuo per poi tornare all’azienda, non il contrario. La bellezza qui non è un vezzo estetico, ma una disciplina organizzativa, si progetta un sistema che rende naturale la cooperazione, desiderabile l’apprendimento, praticabile l’innovazione. È un equilibrio tra radici e slancio, valorizzare il territorio mentre si aprono mercati, linguaggi, tecnologie.

Quando Fabrizio Bernini, nell’evento aziendale di settembre 2025, insiste sull’ascolto e sui legami autentici, non evoca semplicemente soft skill, afferma un principio di governo. “Conoscere le persone” significa re-impostare processi, incentivi, metriche, perché diventino compatibili con la dignità di chi lavora. È una scelta politica nel senso più alto, decidere che la crescita economica non si fa malgrado le persone, ma grazie alle persone.
L’Academy nasce precisamente su questa linea, venti giovani under 30, figli del medesimo paesaggio sociale, entrano in azienda portando competenze, ma anche accenti, strade, abitudini di comunità. È capitale territoriale che rientra in circolo, la formazione come infrastruttura condivisa che aumenta la resilienza dell’impresa e la qualità della cittadinanza. L’Academy è una porta lasciata aperta, al dubbio, all’ibridazione, al talento che ancora non sappiamo nominare.
La strategia che spazia dall’automazione al green, fino al software, è struttura. Significa leggere la transizione come un mosaico di saperi e filiere, dove efficienza energetica, robotica collaborativa e intelligenza del dato compongono una stessa idea di prosperità: più sobria, più precisa, più umana. È la stessa audacia che fece dei Crespi investitori del Corriere della Sera quando era “carta straccia”, la capacità di vedere nel presente le condizioni di una reputazione futura.
Identità, bellezza, comunità: tre impegni concreti
Identità – Curare l’allineamento tra persona e ruolo: percorsi di crescita chiari, feedback che generano apprendimento, leadership che sa coniugare giustizia e benevolenza.
Bellezza – Progettare luoghi, rituali e linguaggi che facilitino cooperazione e concentrazione: spazi che respirano, tempi che rispettano, simboli che raccontano chi siamo.
Comunità – Riaprire il circuito tra impresa e territorio: scuola-lavoro di qualità, filiere corte dell’innovazione, welfare che non sostituisce ma potenzia i servizi pubblici.
È in questo triangolo che il lavoro torna ad essere una scena di cittadinanza. L’azienda ottiene ciò che cerca, competenza, continuità, reputazione, mentre il territorio riceve ciò di cui ha fame, opportunità che non chiedono di emigrare, ma di restare e trasformare.
“Non andare a piangere sulle mie spoglie… mi troverai nel suono della campana, nella corrente del fiume, nei mattoni della ciminiera.”
Quel messaggio, che sembra un saluto dal XIX secolo, è in realtà un promemoria, i luoghi trattengono la forma delle nostre scelte. Se costruiremo oggi aziende che fanno crescere le persone, domani troveremo questa crescita iscritta nei muri, negli alberi, nelle parole che useremo per raccontarci.
Per questo il titolo, Al di là dell’Arno è una provocazione, ma anche un invito, riportare qui, ora, la lezione di Crespi d’Adda. Perché la bellezza, quando diventa metodo, genera dignità, e la dignità, quando diventa prassi, genera prosperità condivisa.
Allora sì, “lasciamo una porta socchiusa” in ogni stanza dell’organizzazione, che entrino dubbio e possibilità, che l’aria cambi e con essa il modo di lavorare, apprendere, vivere. È così che un’azienda può diventare, senza proclami, una comunità. E che un lembo di terra, tra automazione, green e software, ritrova la sua voce: identità, bellezza, comunità.





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